Se vi siete persi la prima parte…
Capitolo XXIII Casaprofessa/2
La Chiesa del Gesù
o di Casa Professa
Quando i gesuiti ebbero il permesso di costruire, trovarono cinque chiese nel perimetro e tutte furono integrate nella nuova costruzione, quasi 450 anni fa. Qualche anno dopo, si fecero altri grandi lavori e la fabbrica con i suoi poderosi pilastri fu assorbita in un’altra nuova chiesa. I lavori finirono nel 1633, dopo aver aggiunto profonde cappelle laterali. La cupola ebbe sempre poca fortuna e fu rifatta almeno tre volte.
La chiesa sventrata
Nel ’43 i bombardamenti americani – l’abbian detto – la colpirono pesantemente: cupola, navata centrale, transetto e molte cappelle si polverizzarono. Ci misero almeno dieci anni a ricostruirla. I grandi lavori di restauro “non sempre sono stati condotti con scrupolo e rispetto dell’originale: la cupola ha dimensioni maggiori di quella distrutta”, dice il Bellafiore nella sua inossidabile Guida della città.
Si dice che molta Palermo possiede in casa un pezzo della chiesa! Tanti sono stati i reperti che furono trafugati nel decennio.
La facciata
La facciata è lineare e sobria, le linee sono rette, lo stile è tardo-cinquecentesco ma sembra che manchi qualcosa, forse i campanili. Fu utilizzata, a questa bisogna, la torre medievale di Palazzo Cusenza lì vicino. Ora la sua campana, la più grande della città, non suona più da tanto tempo, chissà… Al centro della facciata c’è la amorevole e tenera immagine della Patrona, che ha ancora il suo titolo di Santa Maria della Grotta. Lei è la chiave.
L’interno
È vero che quando si entra si rimane a bocca aperta: è inaspettato il divario tra la sobria facciata e lo splendore, l’abbaglio dell’interno, è comprensibile che ci esca un “wow”! Non è ancora barocca e non è più rinascimentale. L’infilata di colonne, i quattro possenti pilastri, l’ampio presbiterio, il ritmo degli archi e le cornici che la allungano…. e gli occhi si riposano. E sarebbe ancor più bella se fosse adeguatamente illuminata! Con l’uso meticoloso dei “marmi mischi” e degli stucchi dei grandi artisti del gesso siciliani si è potuto portar dentro il mondo intero.
Dicono i palermitani che in questa chiesa non c’ è spazio per il nudo muro: tutto è intarsio, ogni angolo, ogni piega, tutto è “un interrotto manto di decorazioni”. Sovrabbonda di tutto: colori, linee, pietre, gessi, animali, fiori, curve e i putti, i bellissimi putti. Quasi a dire che il buon Dio ha voluto buttar lì tutto il bello che gli avanzava. Belli sono quelli che giocano con il leone… e il bambin Gesù sopra la porta nella parete interna. Un unico tarlo che ci rimane è il pensiero di quanto sarebbe stata più bella se gli umani non l’avessero fatta esplodere!
Abside e sacrestia
Ma continuiamo. Forse la parte plasticamente più bella è l’abside coni suoi altorilievi, soffocati però da un troppo ingombrante altare maggiore, poi la cappella di S. Anna, la reliquia di S. Francesco Saverio, i martiri giapponesi, il Genio di Palermo (non un gran santo), S. Rosalia in abito bizantino. Dietro l’altare si apre la grande sacrestia lignea e, quando c’entro, penso alle mie povere chiesette in terra di missione… La sacrestia è un gradevole museo.
Si esce con una domanda. Ma perché noi umani siamo tanto stupidi da distruggere le belle cose che quelli prima di noi hanno creato?
Bibliografia
Giuseppe Bellafiore, Palermo Guida della città e dei dintorni, Susanna Bellafiore Editore